Per la buona riuscita della cerimonia:
- Alloggiare gli animali di piccola taglia nel trasportino;
- Cani di piccola taglia al guinzaglio corto;
- Cani di grossa taglia al guinzaglio corto e museruola se si è in possesso;
- Tutti dotati di sacchetti per la raccolta delezioni;
- Per i padroni: assicurarsi di mantenere le distanze di sicurezza e utilizzare le mascherine.
Scusateci per le raccomandazioni, ma sono necessarie per rendere questo momento ancora più bello nel rispetto di tutti.
Un po’ di storia…
Tutti conoscono il grande affetto che San Francesco, patrono d’Italia, provava per tutto il creato. Filo conduttore della sua esistenza è stato l’amore per la natura declinato in tutte le sue forme.
In tutti i suoi racconti e preghiere sono presenti gli animali, i quali per lui, meritavano rispetto e il suo Cantico delle Creature inizia proprio con una lode: “Lodato sii, mio Signore, con tutte le Tue creature.”
Il 17 gennaio, tradizionalmente la chiesa benedice una parte di queste creature, gli animali domestici e le stalle, per affidarle nelle mani di nostro Signore, per intercessione di Sant’Antonio Abate.
Ma come nasce questa tradizione? Chi era Sant’Antonio Abate?
Sant’Antonio Abate nasce nel 250 d.C. in Egitto. Rimase orfano molto giovane e dovette occuparsi di una sorella minore. Sentì ben presto di dover seguire l’esortazione evangelica “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi e dallo ai poveri”. Così, distribuì i suoi beni, affidò la sorella a una comunità femminile e seguì la vita solitaria dell’anacoreta, attuali eremiti.
Si narra che, alla ricerca di uno stile di vita penitente e senza distrazione, chiese a Dio di essere illuminato. Vide poco lontano un anacoreta come lui, che seduto lavorava intrecciando una corda, poi smetteva, si alzava e pregava; subito dopo, riprendeva a lavorare e di nuovo a pregare. Era un angelo di Dio che gli indicava la strada del lavoro e della preghiera.
Già in vita accorrevano da lui, attratti dalla fama di santità, pellegrini e bisognosi di tutto l’Oriente. Anche Costantino e i suoi figli ne cercarono il consiglio. La sua vicenda è raccontata da un discepolo, sant’Atanasio, che contribuì a farne conoscere l’esempio in tutta la Chiesa. Per due volte lasciò il suo eremitaggio. La prima per confortare i cristiani di Alessandria perseguitati da Massimino Daia. La seconda, su invito di Atanasio, per esortarli alla fedeltà verso il Conciliio di Nicea.
Nella sua iconografia compare, oltre al maialino con la campanella, anche il bastone degli eremiti a forma di T, la “tau” ultima lettera dell’alfabeto ebraico e quindi allusione alle cose ultime e al destino.
Nel 561 fu scoperto il suo sepolcro e le reliquie cominciarono un lungo viaggiare nel tempo e nello spazio, da Alessandria a Costantinopoli, fino ad arrivare in Francia, nell’XI secolo, a Motte-Saint-Didier, dove fu costruita una chiesa in suo onore.
In questa chiesa affluivano a venerarne le reliquie folle di malati, soprattutto affetti da ergotismo canceroso, causato dall’avvelenamento di un fungo presente nella segale, usata per fare il pane.
Il morbo, oggi scientificamente noto come herpes zoster, o fuoco di Sant’Antonio, era conosciuto sin dall’antichità come “ignis sacer” (“fuoco sacro”) per il bruciore che provocava. Per ospitare tutti gli ammalati che giungevano, si costruì un ospedale e venne fondata una confraternita di religiosi, l’antico ordine ospedaliero degli ‘Antoniani’; il villaggio prese il nome di Saint-Antoine de Viennois.
Il Papa accordò agli Antoniani il privilegio di allevare maiali per uso proprio e a spese della comunità, per cui i porcellini potevano circolare liberamente fra cortili e strade; nessuno li toccava se portavano una campanella di riconoscimento.
Il loro grasso veniva usato per curare l’ergotismo, che venne chiamato “il male di s. Antonio” e poi “fuoco di s. Antonio”, si capirà poi che per guarire bastava mangiare carne anziché segale. Per questo motivo, nella religiosità popolare, il maiale cominciò ad essere associato al grande eremita egiziano, poi considerato il santo patrono dei maiali e per estensione di tutti gli animali domestici e della stalla.
Ed è proprio per questo che, nel giorno della sua memoria liturgica, il 17 gennaio, si benedicono le stalle e si portano a benedire gli animali domestici ponendoli sotto la benedizione del santo.
Patrono di tutti gli addetti alla lavorazione del maiale, vivo o macellato, è anche il patrono di quanti lavorano con il fuoco, come i pompieri, perché guariva da quel fuoco metaforico che era l’herpes zoster.
Ancora oggi il 17 gennaio, specie nei paesi agricoli e nelle cascine, si usano accendere i cosiddetti “focarazzi” o “falò di sant’Antonio”, che avevano una funzione purificatrice e fecondatrice, come tutti i fuochi che segnavano il passaggio dall’inverno alla imminente primavera. Veneratissimo lungo i secoli, il suo nome è fra i più diffusi del cattolicesimo. Lo stesso sant’Antonio di Padova, proprio per indicare il suo desiderio di maggior perfezione, scelse di cambiare il nome di Battesimo con il suo. Nell’Italia Meridionale, per distinguerlo da lui, l’eremita della Tebaide è infatti chiamato “Sant’Antuono”.